Storia del Comune

 

L'acqua sorgiva, che scaturisce in abbondanza dalle colline circostanti, sta alla base dell'origine stessa del paese. Infatti, San Sossio Baronia era nell'alto Medioevo la zona delle sorgenti comprese nei possedimenti dei Signori di Trevico.

I pastori con gli armenti scendevano per abbeverarli in quella zona dove attualmente esistono tre grotte scavate nell'argilla, di cui una al centro più piccola, e che per la forma di presepe propria dell'insieme, rispettivamente rappresentano le grotte di S. Giuseppe, della Madonna e del Bambino, zona comunemente detta Acqua della Madonna.

L'origine del paese è riferita al XIII secolo e, secondo la tradizione intorno ad una sorgente presso la chiesa parrocchiale. Questa, distrutta dal terremoto del 1930, era stata costruita nel 1754. L'antica parrocchiale era la chiesetta, ora in rovina, dell'Annunziata, la quale, anche se sul fonte dell'acqua benedetta era incisa la data 1589, risale al XIII secolo.

La datazione di origine del paese riferita al secolo XIII è convalidata da un rescritto di Carlo D'Angiò del 1299 che parla di Vico (Trevico) con i Casali (San Sossio Baronia, San Nicola Baronia, Castel Baronia, Carife etc.), e maggiormente dalle "Rationes Decimarum Italiae" nei secoli XIII e XIV nella parte relativa alla Campania, ove risulta che i "Clerici S. Sossi" per gli anni 1308-1314 dovevano pagare la tassa annuale di "tari uno e grana 121" al Vescovo di Trevico.

Quest'ultima fonte in particolare induce a ritenere che tale comunità alla data del 1308 aveva già una sua piena e completa organizzazione, tanto da essere chiamata a versare un tributo, per cui la sua origine si può far risalire quanto meno alla prima metà del 1200.

Il nome San Sossio dato all'antico casale di Trevico, trova nella leggenda la sua giustificazione. Infatti, si narra che un asino, sul quale venivano trasportate le reliquie di San Sossio martire (Diacono di Miseno martirizzato con San Gennaro, Vescovo di Benevento, a Pozzuoli al tempo dell'Imperatore Diocleziano) destinate ad un paese vicino, giunto in località ora detta Sella Coppola (incrocio della SS. 91 con le Provinciali per S. Sossio e Trevico), infilò la strada che conduceva alle poche case esistenti in fondo alla valle e non ci fu verso di fargli cambiare direzione. Si gridò al miracolo: le reliquie rimasero nella chiesetta dell'Annunziata e fu dato il nome di San Sossio al paese.

San Sossio Baronia, seguì sempre le vicende di Trevico, con cui condivise il giogo feudale dei Consalvo nel secolo XV e dei Loffredo fino al 1806.

I Sossiani durante il feudalesimo godettero sempre di una certa autonomia per il loro straordinario spirito di indipendenza e libertà. A tal riguardo si racconta di una vecchietta la quale, intorno al 1500, al feudatario che, dopo essersi dissetato ed aver decantato la freschezza della limpida fonte, voleva gravarla di una tassa, rispose: <<l'acqua è fresca, Eccellenza, ma le nostre teste sono calde >> ed il signorotto si guardò bene dall'applicare la tassa. Avrà forse avuto origine da questo lo stemma del Comune: tre getti d'acqua che scaturiscono dalla cima di una collina sormontata da tre stelle a cinque punte.

Nel 1612, grazie a Ferdinando Loffredo, alla sorgente più feconda fu dato un aspetto più dignitoso nella fontana che ora appare maestosa nella sua semplicità architettonica e nel bassorilievo con lo stemma del nobile casato dei Loffredo e con l'immagine del Santo Patrono. Ne dà ampia testimonianza l'iscrizione della lapide seicentesca:

Soxius huc populu custodit ab aetere, Martir, hoc loffreda domus; stabit in orbe pius, A.D. 1612, praetereundo cave sitiens properare, viator, fistula dulce fluit cogiaciatis aquae

(II Martire Sossio protegge questo popolo dal cielo. In paese don Loffredo sarà ricordato come Pio nell'anno del Signore 1612. O viandante assetato guardati dall'affrettarti nell'andar via! Un condotto di acqua ghiacciata scorre dolcemente).

Il paese inoltre partecipò attivamente ai moti rivoluzionari; saputo che Garibaldi marciava verso Napoli, dopo aver in Sicilia sgominato l'esercito borbonico, il popolo sossiano assalì il Municipio e ridusse in frantumi il busto di Ferdinando II. Caduta Gaeta il 29 febbraio 1861, Francesco II si rifugiò prima a Roma poi ad Albano agevolando così il sorgere di bande armate costituite dai suoi partigiani.

Questo movimento legittimista ben presto degenerò in brigantaggio. Le bande furono ingrossate da delinquenti della peggiore specie, che scorrazzavano nelle contrade, devastando e commettendo ogni sorta di delitti, protetti dalle fitte boscaglie. In questo territorio imperava la banda del brigante Schiavone feroce e cavalleresco, che aveva per luogotenente l'inseparabile, bellissima compagna, la non meno celebre Filomena, che in una incursione sull'abitato recise le quattro teste di angeli scolpiti in altorilievo agli angoli del basamento di una croce di pietra del 1611.

Tale croce recentemente restaurata è il vanto del paese e fa da sfondo ad una delle vie più importanti.

Origini. Tra ipotesi e leggenda [modifica]

Se tali sono le origini risultanti da fonti storicamente accertate, non è da dimenticare che la presenza di ruderi e di caratteristiche topografiche fa ritenere che la zona sia stata importante centro anche al tempo dei romani. Sta di fatto che l'attuale Autostrada Napoli-Bari, nel tratto relativo al territorio di San Sossio Baronia segue il tracciato della famosa via Appia adiacente al corso del torrente Fiumarella, come risulta dai resti di un ponte romano in località Turro, centro pittoresco frequentato soprattutto dagli appassionati di pesca.

Anche Orazio afferma nella quinta satira del primo libro di aver percorso tale via, sostando in una "Villa vicina Trivici". Se l'origine del nome Trevico è dovuta alla fusione di tre villaggi, tres vici, è opportuno risalire ad un unico centro dalle caratteristiche ben definite.

Storicamente non è accertato che l'attuale Trevico sia la risultante di tre villaggi, pertanto, si possono avanzare ulteriori ipotesi. Certamente una strada, partendo dal ponte romano collegava in dolce pendio la via Appia con la civitas di contrada Civita Alta. Qui si resta colpiti notando la presenza di un'altura alla cui base affiorano dal terreno incolto enormi pietre rotolate in seguito a frane e che senz'altro fanno parte della cinta muraria di un'antica città.

Inoltre procedendo in linea retta si riscontrano, ad intervallo di circa 30 metri, dei pozzi che, scavati con particolare perizia, penetrano con i rispettivi canali nell'altura e certamente in passato erano utilizzati per l'irrigazione dei campi e per l'abbeveraggio di carovane.

Sia i pozzi che gli enormi massi si ritrovano sistematicamente intorno all'altura, a spiovente per tre lati, ciascuno lungo circa 400 metri.

Il quarto lato in parte presenta tracce della cinta muraria in posizione sopraelevata rispetto ai campi circostanti ed in parte è degradante verso gli stessi campi.

Questa caratteristica già di per sé stessa potrebbe essere addotta a prova che ci troviamo di fronte all'ingresso di una antica città; ma l'elemento determinante che prova tale teoria è una strada poco distante, con lastricato tipicamente romano, in ottimo stato di conservazione per una ventina di metri. Inoltre sono reperibili tracce di strade secondarie che conducono al medesimo ingresso.

Risalendo l'altura da questo punto si notano altri pozzi e già dal terreno arato affiorano cocci di vasellame di varia grandezza e di diversa lavorazione che diventano più numerosi man mano che si procede.

Reperti archeologici di notevole importanza, quali monete, pesi romani, armi e suppellettile varia, reperiti in questa civitas si trovano presso il Museo Irpino di Avellino. Si arriva infine ad un altopiano dove è possibile verificare con uno sguardo la quadratura della città e la posizione predominante rispetto alle località circostanti, ai confini con la Puglia. Potrebbe essere stat una città distrutta dai Romani nel III sec. a. C. in seguito alle guerre sannitiche. Oppure una città alleata di Annibale distrutta dai Romani dopo la II guerra punica. Non si può escludere nemmeno l'ipotesi che sia addirittura la Trivicum di cui parla Orazio, come risultante della fusione di tre villaggi, per motivi di difesa.

Segni inconfutabili della presenza di altri villaggi infatti sono riscontrabili sulle colline dei dintorni per la presenza di suppellettile varia affiorante dal terreno arato. Certo doveva trattarsi di una grande città, centro di scambio tra il Sannio e le Puglie e come tale idonea ai rifornimenti e alle soste di apposite carovane.

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